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“L’arte di Morire”

Il rabbino Bunam stava morendo, sua moglie scoppiò in lacrime.
" Per quale motivo piangi? " le disse.
"Ho trascorso l'intera vita cercan­do di imparare a morire".




La vita consiste nel vivere. Non è una cosa, ma un processo. Non esi­ste alcuna possibilità di realizzare la vita se non vivendola, fluendo e scorrendo con essa. Se cercate il significato della vita in qualche dog­ma, in qualche filosofia, in qualche teologia, avrete trovato il modo più sicuro per mancare la vita e il suo significato.
La vita non è da qualche parte ad attendervi: sta accadendo in voi; non è nel futuro come un traguardo da raggiungere, ma è qui e ora, in que­sto preciso momento, nel vostro respiro, nella circolazione del sangue, nel battito del cuore. Qualsiasi cosa voi siate, è la vostra vita, e se ne cercherete il significato altrove, la mancherete. L'essere umano, per se­coli, ha commesso questo errore.  .
I concetti e le spiegazioni sono diventati molto importanti e ci siamo scordati completamente della realtà. Non si osserva ciò che esiste già, bensì si cercano delle razionalizzazioni.
Alcuni anni fa un americano di grande successo stava soffrendo di una grave crisi di identità. Cercò aiuto dagli psichiatri, ma senza risultato poiché nessuno di loro fu in grado di spiegargli il significato della vita, che era ciò che lui desiderava conoscere.
Alla fine, venne a sapere che esisteva un guru molto saggio e venerato che viveva in una regione mi­steriosa e inaccessibile dell'Himalaya.
L'americano si convinse che solo quel guru sarebbe stato in grado di spiegargli il significato della vita e quale fosse il suo compito.
Vendé tutto ciò che possedeva e iniziò la ricerca di quel guru onniscien­te. Per otto anni vagò di villaggio in villaggio battendo l'Himalaya in lungo e in largo, nel tentativo di trovarlo.
Infine, un giorno, per caso incontrò un pastore che gli diede la giusta indicazione.
Impiegò ancora un anno prima di arrivare, ma ci riuscì. Arrivò dal suo guru che, in effetti, avendo superato i cento anni di vita, era venerabi­le. Il guru si dichiarò disponibile ad aiutarlo, soprattutto dopo aver udi­to le incredibili difficoltà e i sacrifici affrontati dall'americano per in­contrarlo.
"Figliolo, cosa posso fare per te?" gli chiese.
"Devo conoscere il significato della vita," rispose l'uomo.
A questa affermazione il guru, senza esitare, rispose: "La vita è un fiu­me senza fine".
"Un fiume senza fine?" ribatté l'uomo allibito. "Dopo tutto questo viag­giare per trovarti, tu mi dici che la vita è un fiume senza fine?"
Il guru, fortemente stupito dalla reazione dell'uomo, si arrabbiò e gli disse: "Perché, forse non è così?"
Nessuno può darvi il significato della vostra vita. E' la vostra vita, an­che il significato deve essere vostro. L'Himalaya non può esservi di aiu­to. Nessun altro, salvo voi, può trovarlo. E' la vostra vita ed è accessi­bile solo a voi. Soltanto vivendola, il mistero vi sarà svelato.
La prima cosa che vorrei dirvi è: non cercate altrove.
Non cercatela in me, non cercatela nelle scritture, non cercatela in spie­gazioni più o meno intelligenti poiché non chiariscono, ma vi allonta­nano dalla vita: riempiono solo le vostre menti e non vi rendono consa­pevoli di che cosa sia la vita.
Più riempirete la vostra mente di cultura sterile, più diventerete stupidi e ottusi. La cultura rende le persone stupide, stordisce la loro sensibili­tà, le ingolfa, le appesantisce, rafforza il loro io, ma non fornisce la lu­ce e non indica loro la via. Non può farlo!
La vita sta già pulsando in voi, e solo nell'intimità potete entrare in contatto con lei. Il tempio non è all'esterno: voi stessi ne siete il santuario. Quindi, la prima cosa da ricordare, se desiderate sapere cos'è la vita, di non cercare all'esterno di voi stessi, di non cercare da qualcun altro il significato della vita non può essere trasmesso in questo modo. I più grandi Maestri non hanno mai parlato della vita: vi hanno sempre rimandati all'interno del vostro essere.
Un'altra cosa da ricordare è questa: quando avrete capito cos'è la vita capirete anche cos'è la morte; anch'essa è parte dello stesso processo. Di solito, si pensa che la morte arrivi al termine della vita, che la morte sia nemica della vita; non lo è; ma se la ritenete tale, significa che non siete riusciti a conoscere la vita.
La morte e la vita sono due polarità della stessa energia, dello stesso fenomeno: l'alta e la bassa marea, il giorno e la notte, l'estate e l'inverno."Non sono opposte, non sono separate e neppure contrarie, bensì complementari. La morte non è la fine della vita: è il completamento di una esistenza, il 'crescendo' di una vita, l'apice, il finale. Quando avrete conosciuto la vita e il suo processo, allora capirete cos'è la morte. La morte è parte integrante e organica della vita, e ne è profondamente amica. Senza la morte, la vita non può esistere. La vita esiste grazie alla morte che ne crea lo sfondo. Difatti, la morte è un processo di rinnovamento e accade in ogni istante. Quando inspirate e quando espira te, accadono sia la vita che la morte. Inspirate ed entra la vita, espirate accade la morte.
Ecco perché quando nasce un bimbo, la prima cosa che fa è inspirare così la vita ha inizio. E quando un vecchio muore, l'ultima cosa che fa è espirare, e la vita se ne va. Espirare è morte, inspirare è vita: sono come le due ruote di un carro. Vivete perché inspirate ed espirate. L'espirare fa parte dell'inspirare; non è possibile inspirare se non si espira. Non potete vivere se smettete di morire.
L'uomo che ha compreso cos'è la vita, permette alla morte di accadere: le dà il benvenuto. Quell'uomo muore in ogni istante e in ogni istante risorge. La sua crocifissione e la sua risurrezione accadono in continuazione, come un processo. In ogni momento muore al passato e rinasce al futuro.
Se guardate all'interno della vita, potrete conoscere cos'è la morte. Se capirete cos'è la morte, allora capirete cos'è la vita. Sono due fenomeni organici. Abitualmente, a causa della paura, si crea una divisione tra questi due fenomeni. Riteniamo che la vita sia buona e la morte catti­va, che la prima sia da desiderare e la seconda da evitare.
Crediamo di doverci proteggere, in qualche modo, dalla morte. Questa idea assurda crea molta angoscia nelle nostre vite, poiché una persona che si protegge dalla morte è incapace di vivere. Quella persona ha pau­ra di espirare, quindi ha paura di inspirare, e di conseguenza è blocca­ta. Vive la sua vita trascinandosi; la sua vita non è un fluire, non è più un fiume.
Se desiderate veramente vivere, dovete essere pronti a morire. Chi, den­tro di voi, teme la morte? La vita teme la morte? Non è possibile. Co­me può la vita temere il suo stesso processo integrale? Qualcos'altro, in voi, la teme: il vostro io. Non sono la vita e la morte a essere oppo­sti, bensì l'io e la morte. Non sono la morte e la vita a essere opposti, bensì l'io e la vita. L'io è contrario sia alla vita che alla morte, l'io te­me la vita e teme la morte. Teme la vita perché ogni sforzo, ogni passo verso la vita avvicina la morte.
Se vivete, vi avvicinate alla morte. L'io teme la morte, quindi ha paura di vivere. L'io si trascina semplicemente.
Molte persone non sono né vive né morte: e questo è il peggio che vi possa capitare. Un uomo che è pieno di vita è anche pieno di morte: ec­co il significato di Gesù sulla croce. Gesù che porta la sua croce non è stato compreso, così pure la frase detta ai suoi discepoli: "Dovrete por­tare la vostra croce".
Il significato di Gesù che porta la croce è molto semplice, non è altro che questo: tutti devono portare la propria morte continuamente, tutti devono morire ad ogni istante, tutti devono essere sulla croce perché questo è l'unico modo per vivere con pienezza, totalmente. Ogniqualvolta vi accade un istante di assoluta vitalità, vedrete come, improvvisamente, è presente anche la morte. Accade in amore. Nell'a­more, la vita raggiunge il suo culmine, per questo la gente ne ha paura. Sono molto sorpreso dal numero di persone che, continuamente, ven­gono da me dicendo di temere l'amore.
Cos'è questa paura dell'amore? E' l'io, perché quando amate veramen­te una persona, il vostro io inizia a sciogliersi. Non potete amare con l'io: l'io diventa una barriera, e quando decidete di far cadere la barrie­ra, l'io dirà: "Attenzione! Questa può essere una morte". La morte dell'io non è la vostra morte, ma la vostra vera possibilità di vita. L'io è solo una crosta dura e priva di vita, che vi avvolge: deve essere spezza­ta e buttata via. Si è formata naturalmente, come un viaggiatore che, nel corso del viaggio, ha raccolto polvere sul suo abito, sul suo corpo, e de­ve lavarsi per liberarsene.
Man mano che il tempo trascorre, la polvere delle esperienze, della cul­tura, delle vite passate si deposita su di voi. Quella polvere diventa il vostro io; si accumula e diventa una crosta attorno a voi, una crosta che deve essere spezzata e buttata via. Ci si deve lavare di continuo, ogni giorno, anzi, ad ogni istante, in modo che quella crosta non diventi una prigione. L'io ha paura dell'amore perché con l'amore la vita raggiun­ge il suo culmine, ma ogni volta che c'è un apice di vita, c'è un apice di morte: le due cose si accompagnano. Nell'amore, morite e rinascete. La stessa cosa accade quando meditate o pregate, o quando venite da un Maestro per abbandonarvi a lui. L'io crea ogni tipo di difficoltà, di razionalizzazione, per non arrendersi: "Pensaci, valuta bene, cerca di ragionare". Quando venite da un Mae­stro l'io ridiventa sospettoso, dubbioso, crea ansia, perché di nuovo vi state avvicinando alla vita, alla fiamma in cui anche la morte sarà tan­to viva quanto la vita.
Ricordate che la vita e la morte si accendono insieme, non sono mai se­parate. Se vivete al minimo, allora potrete vedere la morte e la vita co­me separate. Più vi avvicinate alla vetta, più la vita e la morte si avvi­cinano e, sulla vetta, si incontrano e si uniscono diventando una sola cosa. Nell'amore, nella meditazione, nella preghiera, nella fiducia, ogni qualvolta la vita diventa totale, è presente la morte. Senza la mor­te, la vita non può essere totale.
Ma l'io pensa sempre in termini di divisione, di dualità: separa ogni co­sa. L'esistenza è indivisibile, non può essere divisa. Eravate bambini, poi siete diventati adolescenti. Sapete porre una linea di demarcazione tra le due età? Potete indicare il punto in cui siete diventati adolescen­ti? Un giorno sarete vecchi. Potete indicare il momento esatto in cui di­ventate vecchi?
I processi non possono essere demarcati. La stessa cosa è successa quan­do siete nati. Sapete indicare quando siete nati? Quando veramente la vita ebbe inizio? Inizia quando il neonato incomincia a respirare - quan­do il ginecologo lo sculaccia e il bimbo emette il primo vagito? La vita inizia in quel momento? ;Oppure, accade prima di quel momento? Quando lo spermatozoo penetra l'ovulo, quando la madre diventa gra­vida, quando il bimbo è concepito? Quando esattamente inizia la vita? E' un processo senza fine e senza inizio. Non ha inizio.
Quando una persona muore? Quando smette di respirare? Quando non c'è più il respiro, una persona è morta? Molti yogin hanno dimostrato, su basi scientifiche, di poter fermare il respiro pur essendo ancora vivi, e di poter poi ritornare alla normalità dopo l'esperimento. Quindi, l'ar­resto del respiro non può essere la fine. Dove termina, allora, la vita? Non termina in alcun luogo e non ha inizio in alcun luogo. Siamo coin­volti nell'eternità.
Siamo esistiti dall'inizio, se mai un inizio c'è stato, e saremo qui fino alla fine, se mai una fine ci sarà. In realtà, non ci può essere alcun ini­zio e non ci può essere alcuna fine. Noi siamo vita, anche se le forme cambiano, anche se i corpi e le menti sono diversi. Ciò che noi chiamia­mo vita, è solo l'identificazione con un certo corpo, con una certa men­te, con un certo comportamento, e ciò che noi definiamo morte non è altro che l'uscire da quella forma, da quel corpo, da quel concetto.
Voi traslocate: se vi siete identificati con un appartamento, traslocare sarà molto doloroso. Vi sembrerà di morire, perché la vecchia abitazio­ne era ciò che voi eravate, era la vostra identità. Ma ciò non accade se sapete che state soltanto traslocando: voi non mutate affatto.
Coloro che hanno rivolto il loro sguardo all'interno, coloro che hanno scoperto chi sono, hanno conosciuto un processo senza fine, eterno. La vita è un processo, senza tempo, al di là del tempo, e la morte è una sua componente.
La morte è un continuo rinnovarsi: un aiuto alla vita a risuscitare ogni volta; è un aiuto alla vita per liberarsi di strutture vecchie e limitanti af­finché voi possiate fluire, ridiventando freschi, giovani e vergini (come la potatura per gli alberi da frutto).
Un uomo stava curiosando in un negozio di antiquariato, quando scor­se un'ascia che pareva molto antica: "Che bell'ascia, deve essere mol­to antica!" disse al proprietario del negozio.
"Beh, sì," rispose il proprietario, "appartenne a George Washington". "Davvero? Li porta bene i suoi anni!'
Può ben dirlo," rispose l'antiquario, "l'impugnatura è stata cambiata tre volte e la lama ben due volte".
Ecco com'è la vita: continua a cambiare impugnatura e lama; in realtà, pare che tutto continui a cambiare, invece qualcosa resta eternamente lo stesso. Osservate. Eravate dei bambini: cos'è rimasto di allora? So­lo un ricordo. Il vostro corpo è cambiato, la vostra mente è cambiata, così pure la vostra identità.
Cos'è rimasto della vostra infanzia? Nulla, solo un ricordo. Non pote­te fare distinzione, non sapete se sia effettivamente esistita, se avete so­gnato o se l'avete letta in un libro, oppure se qualcuno ve l'ha raccon­tata. Era la vostra infanzia o di qualcun altro? Qualche volta sfogliate un album di vecchie fotografie. Guardate: quelli eravate voi. Stentate a crederci: come siete cambiati. Difatti, tutto è cambiato: impugnatura, lama, tutto quanto. Tuttavia, in profondità, da qualche parte, qualcosa resta come continuità: un testimone rimane fisso (lo Spirito che vi ha portato a ricercare la Via oggi come allora: se non vi siete lasciati morire strada facendo abbandonando la parte migliore di voi alla disillusione ed alla rassegnazione che ciò che sentivate allora non era altro che un bell’e variopinto Sogno e che la “realtà”, in fondo sia un’altra cosa).

taiji_evolutivo

[fig. 1 TaiJi Evolutivo]


Esiste una connessione, per quanto invisibile: tutto cambia, ma quel fi­lo di collegamento resta il medesimo. Quel filo è al di là della vita e del­la morte. La vita e la morte sono le ali di ciò che è al di là della vita e della morte. Ciò che è al di là continua a usare la vita e la morte come le due ruote di un carro, in modo complementare. Vive per mezzo del­la vita e della morte. La vita e la morte sono i suoi processi, come l'in­spirare e l'espirare.
Qualcosa in voi è trascendente... Voi siete quel qualcosa... quel qual­cosa che è trascendente.
Purtroppo, siete troppo identificati con la forma, e questo crea l'io. Na­turalmente l'io deve morire parecchie volte e, di conseguenza, è costan­temente impaurito, tremante, sempre timoroso e pronto a proteggersi. Un mistico sufi bussò alla porta di un uomo molto ricco. Il sufi era un mendicante e non desiderava altro ché un po' di cibo.
Il ricco gli urlò: "Vattene, qui nessuno ti conosce!"
"Ma io conosco me stesso," rispose il derviscio. "Che tristezza se fos­se vero il contrario. Che tristezza se tutti mi conoscessero e io non fos­si consapevole di me stesso. Sì, hai ragione, qui nessuno mi conosce, ma io conosco me stesso".
Queste sono le due uniche situazioni possibili, e voi vi trovate nella si­tuazione più triste. Tutti possono sapere tutto di voi, possono sapere chi siete; ma voi stessi siete assolutamente ignari della vostra trascenden­za, della vostra vera natura, del vostro essere autentico. Questa è l'unica tristezza della vita. Forse troverete molte altre scuse per essere tristi, ma la vera tristezza è questa: voi non sapete chi siete.
Come può essere felice una persona senza sapere chi è, senza sapere da dove viene, senza sapere dove va? A causa di questa ignoranza di fon­do sorgeranno mille e un problema.
Un gruppo di formiche esce dal buio del formicaio per cercare del ci­bo. E' l'alba. Le formiche passano accanto a una pianta le cui foglie so­no coperte di rugiada.
Indicando le gocce di rugiada, una delle formiche chiede: "Cosa sono? Da dove vengono?"
"Vengono dalla terra," rispondono alcune formiche. Altre aggiungono: "No, no, vengono dal mare". Presto scoppia un litigio: un gruppo aderisce alla teoria del mare, un al­tro gruppo a quella della terra.
Solo una formica, intelligente e saggia, non parteggia né per un gruppo né per l'altro.
"Fermatevi, osserviamo, guardiamoci intorno e cerchiamo delle indica­zioni, poiché ogni cosa è attratta verso la sua origine. Per quanto tire­rete in alto, nell'aria, un mattone, questo ritornerà sempre alla terra. Qualunque cosa giaccia rivolta alla luce deve essere originata dalla lu­ce". Le formiche, non convinte; stanno per ricominciare a discutere, quando si alza il sole e, con il suo levarsi sempre più alto nel cielo, le gocce di rugiada abbandonano le foglie, innalzandosi verso il sole e scomparendo in esso.
Ogni cosa ritorna alla sua fonte originaria, deve ritornarci. Se compren­dete la vita, capirete anche la morte. La vita è l'oblio della fonte origi­naria, la morte è il ricordarla. La vita è l'allontanarsi dalle origini, la morte è il tornare a casa. La morte non è brutta, la morte è bella, ma è bella solo per coloro che hanno vissuto la loro vita senza impaccio, sen­za repressione, disinibiti. La morte è bella per coloro che hanno vissu­to la loro vita con bellezza, che non hanno avuto paura di vivere, che hanno avuto sufficiente coraggio per vivere, che hanno amato, danzato e celebrato.
La morte diventa la celebrazione per eccellenza, se la vita è vissuta in celebrazione. O meglio: la morte rivela qualsiasi cosa sia stata la vostra vita (come il movimento del corpo manifesta l’armonia o disarmonia della mente..).
Se in vita siete stati infelici, la morte rivelerà infelicità. La morte è una grande rivelatrice. Se in vita siete stati felici, la morte rivelerà fe­licità. Se avete vissuto un'esistenza mirata solo al benessere e al piace­re fisico, la morte sarà, ovviamente, molto sgradevole perché dovrete abbandonare il corpo.
Il corpo è solo una dimora temporanea, un santuario dove ci si ferma per una notte,(la notte dell’oblio che è la vita) al mattino lo si lascia; non è la dimora definitiva, non è la vostra casa.
Quindi, se avete vissuto una vita solo fisica e non avete conosciuto nul­la al di là del corpo, la morte sarà molto brutta, sgradevole e dolorosa. La morte sarà un'angoscia. Ma se vi siete innalzati un po' dal corpo, se avete gioito della musica, della poesia, se avete amato, se avete guar­dato le stelle, i fiori, e qualcosa di non-fisico è penetrato nella vostra consapevolezza, la morte non sarà così dolorosa, così brutta. La potre­te accettare con serenità, sebbene non potrà ancora essere una celebra­zione.
Se avete provato qualcosa di trascendente in voi, se avete assaporato il 'nulla' al centro del vostro essere, quel centro in cui non siete più né corpo né mente, quel centro in cui i piaceri fisici e mentali, come la poe­sia, la musica, la pittura e la letteratura, sono lontani e voi siete sempli­cemente pura consapevolezza, allora la morte sarà una grande celebra­zione, una grande comprensione, una grande rivelazione (nel momento in cui v’illuminate la vostra vita stessa diviene celebrazione).
Se avete conosciuto il trascendente che esiste in voi, la morte vi rivele­rà il trascendente dell'universo; allora la morte non sarà più una morte, ma un incontro con Dio, un appuntamento con Dio.
Nella storia della mente umana esistono tre concezioni sulla morte: la prima è quella dell'uomo comune che vive attaccato al corpo, che non ha conosciuto altri piaceri che quelli del cibo e del sesso, la cui vita non è stata altro che cibo e sesso, che ha goduto del cibo e del sesso, che ha condotto una vita molto primitiva, grossolana, che ha vissuto sulla so­glia del suo palazzo senza mai esservi entrato, credendo che quella fos­se la vita. Nel momento della morte, quell'uomo cercherà degli appi­gli: le opporrà resistenza, la combatterà. La morte verrà sentita come nemica.
Ecco perché, in tutto il mondo, in ogni tipo di società, la morte viene descritta come demoniaca, oscura. In India, si crede che il messaggero della morte sia bruttissimo, scuro, nero, e che arrivi a cavalcioni di un grande bufalo dall'aspetto orribile. Questo è l'atteggiamento comune ma le persone che sentono la morte in questo modo non hanno capito, non sono riuscite a conoscere tutte le dimensioni dell'esistenza. Non sono state in grado di toccare le profondità della vita e non sono state in grado di volare alle vette dell'esistenza. Si sono perse la pienezza e la beatitudine.
La seconda concezione sulla morte è quella descritta dai poeti, dai filo­sofi che ne hanno parlato non come un avvenimento negativo e cattivo, bensì come un riposo, un riposo profondo come il sonno. Questa con­cezione è migliore della prima; se non altro, queste persone sono anda­te al di là del corpo, hanno conosciuto qualcosa della mente, non si so­no fermate al cibo e al sesso, e la loro vita non si è limitata all'alimen­tazione e alla riproduzione. Hanno un'anima un po' più sofisticata, so­no più aristocratiche, hanno più cultura. Affermano che la morte è un riposo profondo: si è stanchi, si entra nella morte e ci si riposa. Ma an­ch'essi sono molto lontani dalla verità.
Coloro che hanno conosciuto la vita in profondità, affermano che la morte è Dio. Non è solo riposo, ma risurrezione, un'esistenza nuova, un ricominciare: l'aprirsi di una nuova porta.
Il mistico sufi Bayazid stava morendo. All'improvviso, tutte le perso­ne e i discepoli che si erano raccolti attorno a lui si meravigliarono per­ché, quando arrivò il suo ultimo istante di vita, il suo volto si illuminò, divenne radioso, fu avvolto da una splendida aura.
Bayazid era un uomo di grande bellezza spirituale e i suoi discepoli ave­vano sempre percepito un'aura intorno a lui, ma non avevano mai visto una radiosità come quella.
Chiesero: "Bayazid, dicci cosa ti è successo. Prima di lasciarci, conse­gnaci il tuo ultimo messaggio".
Bayazid aprì gli occhi e disse: "Dio mi sta accogliendo, sto entrando nel suo abbraccio. Addio". Chiuse gli occhi e il respiro si fermò, ma nel preciso istante in cui il suo respiro si fermò, ci fu un'esplosione di lu­ce, la stanza si riempì di luce e poi scomparve.
Quando una persona ha conosciuto il trascendente dentro di sé, la mor­te rappresenta un altro volto di Dio; allora, diventa una danza e, ricordate, finché non riuscirete a celebrare la morte, avrete mancato la vita. L'intera vita è una preparazione all'estremo momento.

Questo è il significato di questa bellissima storia.
Il rabbino Bunam stava morendo, sua moglie scoppiò in lacrime. "Per quale motivo piangi?" le disse. "Ho trascorso l'intera vita cercan­do di imparare a morire."
La sua intera esistenza era stata soltanto una preparazione per appren­dere i segreti del morire.
Tutte le religioni sono solo scienze, o arti, che insegnano come morire, ma l'unico modo per insegnarvi a morire è insegnarvi a vivere. Il mo­rire e il vivere non sono separati: se conoscete il giusto modo di vive­re, conoscete anche il giusto modo di morire.
Quindi, la prima cosa, o la cosa fondamentale, è come vivere. Permettetemi di dirvi alcune cose. Primo: la vostra vita è solo vostra e di nessun altro. Pertanto, non permettete a nessuno di dominarvi, non permette a nessuno di agire da dittatore nei vostri confronti: sarebbe un tradimento della vita. Se permetterete ad altri di dominarvi, siano que­sti i vostri genitori, la società in cui vivete, il sistema culturale, i vostri politici, i preti, chiunque, mancherete la vita. Il dominio viene sempre dall'esterno e la vita è dentro di voi: non si incontrano mai.
Non vi sto invitando a diventare persone che dicono sempre no a tutto e a tutti, perché anche questo atteggiamento non è di molto aiuto. Ci so­no due tipi di persone (con sette componenti fondamentali ciascuno PNL): uno è il tipo obbediente, pronto ad arrendersi a chiunque e a tutti. Queste persone non hanno un'anima indipendente dentro di loro; sono degli immaturi; sono infantili, in perenne ricerca della figura paterna, di qualcuno che dica loro cosa fare e cosa non fa­re. Non sanno aver fiducia in se stessi. Queste persone sono la maggior parte del mondo, sono le masse.
In contrapposizione a queste persone, esiste una minoranza che rifiuta la società, che rifiuta i valori della società. Questa minoranza si ritiene ribelle, ma non lo è, è semplicemente reazionaria perché sia che seguia­te la società sia che la rifiutiate, se questa rimane il fattore determinan­te, ne siete dominati.
Vi racconto una storiella: una volta Mulla Nasrudin si assentò dal paese per un certo periodo di tempo e quando ritornò aveva una lunga bar­ba. Naturalmente, i suoi amici iniziarono a prenderlo in giro e a chiedergli come mai si fosse fatto crescere quella pelliccia sul volto.
Il barbuto Mulla prese a maledire senza mezzi termini tutto quel pelo. Stupiti dalle espressioni forti che uscivano dalla sua bocca, gli amici gli chiesero perché continuasse a tenere la barba, se non gli piaceva. "Detesto questa barba maledetta," rispose il Mulla.
"Se la detesti, perché non ti radi e la fai finita?" gli chiese un amico. Negli occhi del Mulla comparve una luce diabolica, e rispose: "Perché anche a mia moglie non piace!"
Questo atteggiamento non vi rende liberi. Gli hippy, gli hippy non so­no dei ribelli, ma dei reazionari: hanno reagito contro la società. Talu­ni sono obbedienti, altri disobbediscono, ma il centro dominante è iden­tico. Taluni obbediscono, altri disobbediscono, ma nessuno ha guarda­to nel proprio animo.
Una persona veramente ribelle non è a favore né contro la società, ma vive la sua vita in base alla sua comprensione. Se è a favore o contro la società non ha importanza, è irrilevante. Talvolta può essere contro la società, talvolta a favore, ma questo non è il punto da prendere in con­siderazione.
Questa persona vive in base al suo comprendere, secondo la sua picco­la luce. Con ciò, non sto dicendo che sia un egoista, no, piuttosto è mol­to umile. Sa che la sua luce è molto piccola, ma è tutta la luce di cui di­spone. Non è inflessibile, ma umile. Quella persona afferma: "Mi sba­glierò, ma vi prego di lasciarmi sbagliare in base al mio sentire". E que­sto è l'unico modo per imparare: commettere degli errori è l'unico mo­do per imparare.
Agire secondo il proprio sentire è l'unico modo per crescere e diventa­re maturi. Se siete sempre alla ricerca di qualcuno che funga da dittato­re, sia che obbediate sia che disobbediate, non fa alcuna differenza. Se cercate qualcuno che vi domini, che decida se è giusto o sbagliato, non potrete mai sapere cosa sia la vita.
La vita deve essere vissuta e voi dovete seguire la vostra piccola luce. Non è sempre chiaro cosa fare: siete molto confusi. Lasciate che sia così, ma cercate una via d’uscita dalla vostra confusione.
E' molto facile e semplice seguire gli altri perché possono trasferire in voi dei dogmi sterili e darvi dei comandamenti: fai questo, non fare quello. E quelle persone sono molto sicure dei loro comandamenti. Non si deve cercare la certezza, ma il comprendere, perché se cercate la cer­tezza, prima o poi, cadrete in qualche trappola. Non cercate la certez­za, ma il comprendere. La certezza può esservi data a poco prezzo e chiunque può darvela ma, in ultima analisi, sarete dei perdenti. Avrete perso la vostra vita per avere sicurezza e certezza, ma la vita non è né certa né sicura.
La vita è insicurezza: è un addentrarsi in ogni momento, e sempre più, nell'insicurezza. E' un gioco d'azzardo: nessuno sa cosa stia per succe­dere, ed è bello che sia così. Se la vita fosse prevedibile, non varrebbe la pena viverla. Se tutto fosse come voi volete e ogni cosa fosse sicura, voi non sareste affatto degli uomini, sareste delle macchine. Solo per le macchine tutto è certo e sicuro.
L'uomo vive in libertà e la libertà ha bisogno di insicurezza e di incer­tezza. Un uomo di vera intelligenza è sempre esitante perché non ha dogmi su cui basarsi e appoggiarsi: deve “guardare” la situazione e rispon­dere di conseguenza.
Lao Tzu afferma: "Sono incerto e nella vita mi muovo con attenzione perché non so cosa succederà. Non ho alcun principio da seguire. De­vo decidere al momento, non decido mai prima. Ogni volta devo deci­dere quando arriva il momento!"
Allora, si è 'rispondenti': ecco cos'è la responsabilità. La responsabili­tà non è un obbligo e neppure un dovere, ma la capacità di rispondere. Un uomo che desideri conoscere cos'è la vita deve essere 'risponden­te', ed è ciò che vi manca. Secoli di condizionamenti vi hanno ridotti a macchine, avete perso il vostro coraggio, lo avete barattato per avere sicurezza. Siete sicuri, a vostro agio, e tutto è stato programmato da altri; essi hanno già creato il tracciato, hanno già preso tutte le misure. Tutto ciò è assolutamente stupido perché la vita non può essere misu­rata dato che è immisurabile e non è neppure possibile disegnarne un tracciato, perché essa è un flusso costante. Ogni cosa è in continuo cam­biamento. Nulla è stabile tranne il mutare. Eraclito afferma: "Non po­tete immergervi nello stesso fiume due volte".
Inoltre, le strade della vita sono a zigzag(Yin & Yang come il percorso del Tao: la via maestra..). Le strade della vita non sono i binari di un treno. No, la vita non corre sui binari, e questa è la sua bellezza, la sua gloria, la sua poesia, la sua musica, ed è sempre una sor­presa.
Se cercate sicurezza e certezza, i vostri occhi si chiuderanno e sarete sempre meno sorpresi e perderete la capacità di meravigliarvi. Una volta persa questa capacità, avrete perso la religione (più propriamente direi “la Fede” dato che “religo” significa legare insieme, mentre la Fede tende a liberare l’uomo proprio da questo legame morboso con i dogmi, appunto, imposti da più o meno tutte le religioni come cardini del loro credo che servono a distinguersi dagli altri in una perenne auto-affermazione del proprio Ego su quello altrui che è esattamente l’opposto del percorso qui illustrato...). La religione è l'aprir­si del vostro cuore colmo di meraviglia; la religione è ricettività per ciò che è misterioso e che ci circonda. Non cercate sicurezza, non cercate consigli su come vivere la vostra vita (cercate pittosto quei princìpi che permettono alla vita stessa di continuare a scorrere attraverso di voi..).
La gente viene da me e dice: "Maestro, dicci come vivere la nostra vi­ta". A voi non interessa sapere cos'è la vita, siete più interessati a cre­arvi un modello fisso, siete più interessati a uccidere la vita piuttosto che a viverla. Volete che vi sia imposta una disciplina. Naturalmente, in tutto il mondo ci sono i preti e i politici che vi stanno attendendo. An­date da loro, ed essi sono pronti a imporvi le loro discipline. Adorano il potere che deriva dall'imporre le proprie idee sugli altri.
Io non sono qui per questo. Sono qui per aiutarvi a essere liberi, e quan­do affermo che sono qui per aiutarvi a essere liberi, includo anche me. Sono qui per aiutarvi a essere liberi anche da me.
Il mio sannyas è una cosa paradossale. Vi arrendete a me per diventare liberi; io vi accetto e vi do l'iniziazione al sannyas per aiutarvi a diven­tare assolutamente liberi da ogni dogma, da ogni scrittura, da ogni filo­sofia, e includo me stesso in tutto questo. Il sannyas è paradossale, de­ve esserlo, quanto la vita stessa. Così è vivo.
Quindi, per prima cosa, non chiedete a nessuno come dovreste vivere la vostra vita. La vita è così preziosa: vivetela. Non vi assicuro che non farete degli errori, anzi, ne farete, ma ricordate: non ripeteteli. Questa è l'unica cosa da ricordare. Se riuscite a commettere ogni giorno un er­rore nuovo, fatelo, ma non ripetete gli stessi errori: è da stupidi. Un uo­mo che riesce a trovare sempre nuovi errori da commettere sarà in con­tinua crescita perché questo è l'unico modo per imparare, l'unico mo­do per giungere alla vostra luce interiore.
Mi hanno raccontato che una notte il poeta Awhadi di Kerman (un gran­de poeta musulmano) stava seduto sulla sua veranda, piegato a osser­vare un catino, quando passò di lì, per caso, un grande mistico sufi, Shams-e-Tabrizi.
Shams-e-Tabrizi guardò il Poeta e quanto stava facendo. Infine, gli chies­e: "Cosa stai facendo?" Il poeta rispose: "Sto contemplando la luna in un catino pieno d'acqua". Shams-e-Tabrizi scoppiò a ridere: una risata fragorosa, da sbellicarsi. Il poeta iniziò a sentirsi a disagio anche a causa della gente che si sta­va fermando a osservare la scena, per cui chiese: "Cosa c'è da ridere? Perché mi stai rendendo ridicolo?"
Shams-e-Tabrizi rispose: "A meno che tu non abbia il collo rotto, per­ché non guardi la luna direttamente nel cielo?"
La luna è lassù, la luna piena è là e il poeta se ne stava seduto con un catino d'acqua a guardare il riflesso della luna nell'acqua.
Cercare la verità nelle scritture, in filosofie è limitarsi a guardare i ri­flessi. Se voi chiedete a qualcun altro come dovete vivere la vostra vi­ta, sarete fuorviati perché l'altro potrà solo parlarvi della sua vita  (E’ per questo che il taoista deve tornare alla sorgente: alle origini dell’Yin e dello Yang, al Tai Ji Tu ed al Tao fino al Wu Wei che l’ha generato..). E mai, dico mai, due vite sono uguali. Qualsiasi cosa l'altro vi dica o vi inse­gni, farà parte della sua vita, sempre che abbia veramente vissuto.
Può aver chiesto ad altri, lui stesso può aver seguito altri, lui stesso può essere stato un imitatore. Allora, voi diventerete il riflesso di un rifles­so. I secoli passano e le persone continuano a riflettere il riflesso del ri­flesso del riflesso... e la luna vera è sempre là, in cielo, ad attendervi. E' la vostra luna, è il vostro cielo: guardateli direttamente, siate imme­diati. Perché farsi prestare gli occhi da me o da altri? Avete ricevuto gli occhi, occhi bellissimi per vedere e vedere direttamente. Perché pren­dere a prestito il comprendere da altri? Badate, potrebbe essere il mio comprendere, ma nel momento che lo trasmetto a voi, per voi diventa cultura, e non è più comprensione.
Comprendere è solo ciò che una persona ha vissuto come esperienza. Può essere il mio comprendere, se ho osservato la luna direttamente, ma nel momento in cui lo trasferisco a voi, per voi diventa cultura e non è più comprendere. Non diventa altro che una questione verbale, lingui­stica, e il linguaggio è menzogna.
Un allevatore di galline, scontento della scarsa produttività dei suoi ani­mali, decise di usare un po' di psicologia con le sue bestiole, e acqui­stò un coloratissimo pappagallo, che mise nel pollaio. Immediatamen­te le galline iniziarono a conservare i bocconcini più prelibati per l'affascinante straniero. Esse si comportavano come delle teenager attorno alla rock star del momento e, con grande gioia dell'allevatore, la pro­duzione di uova aumentò.
C'era da aspettarselo: il gallo del pollaio, naturalmente ingelosito dal comportamento del suo harem, se la prese con l'intruso, assalendolo con il becco e gli artigli, spennandolo penna dopo penna. II povero pap­pagallo, spaventato, si mise a piagnucolare: "La smetta, signore, la pre­go! Dopo tutto sono qui solo in qualità di professore di lingue!"
Molte persone vivono la loro vita come professori di lingue ed è il tipo di vita più falso che ci sia. La realtà non ha bisogno del linguaggio: è a vostra disposizione a un livello non-verbale. La luna è là: non c'è alcun bisogno del catino, dell'acqua e di nessun altro medium. Vi basta guar­darla; è una comunicazione non-verbale. La vita intera è a vostra dispo­sizione: dovete solo imparare a comunicare con essa senza parole.
Ecco cos'è la meditazione: essere in uno spazio dove il parlare non in­terferisce, dove i concetti appresi non si interpongono tra voi e il reale. Quando amate una donna, non preoccupatevi di cosa dicono gli altri dell'amore, perché sarebbe una interferenza. Amate quella donna, vi­vete l'amore, e dimenticate tutto quanto è stato detto sull'amore. Scor­date tutti i Kinsey, i Master e Johnson, i Freud e gli Jung. Per favore, non diventate professori di lingue. Amate quella donna, lasciate spazio all'amore e permettetegli di condurvi e di guidarvi nei suoi segreti più nascosti, nei suoi misteri. Solo allora scoprirete cos'è l'amore. Qualsia­si cosa gli altri diranno sulla meditazione sarà senza significato.
Mi capitò, una volta, di leggere un libro sulla meditazione scritto da un santo giainista. Era veramente bello, ma alcuni passaggi, per quanto bre­vi, dimostravano che quell'uomo non aveva mai meditato, altrimenti non ci sarebbero stati. II libro, nel suo insieme, per il novantacinque per cento, era perfetto. Mi piacque molto. Poi, me ne dimenticai.
Per dieci anni peregrinai per l'India, finché, un giorno, in un villaggio del Rajasthan, quel santo venne a trovarmi. Il suo nome mi era familia­re e, all'improvviso, mi ricordai del libro. Gli chiesi il motivo della sua visita e lui mi rispose: "Sono venuto qui per sapere cos'è la meditazio­ne". Gli dissi: "Ricordo il libro che hai scritto, lo ricordo molto bene perché mi aveva colpito. Ad eccezione di alcuni difetti, che dimostra­vano che tu non avevi mai meditato, il libro era perfetto, ma solo per il novantacinque per cento: Ora, sei qui per imparare a meditare. Non hai mai meditato?" Mi parve un po' imbarazzato perché erano presenti anche i suoi disce­poli; allora, aggiunsi: "Dì la verità, perché se affermi di conoscere la meditazione non toccherò questo argomento. Se la conosci già, non c'è bisogno che io ne parli. Ma se sei franco, se almeno per una volta sei onesto, e mi dici di non avere mai meditato, allora potrò aiutarti a co­noscerla". Era un'occasione unica, e così confessò. Disse: "Sì, è vero, non l'ho mai detto a nessuno. Ho letto molti libri sulla meditazione, le vecchie scritture. E ho insegnato alla gente: ecco perché mi sento im­barazzato di fronte ai miei discepoli. Ho insegnato la meditazione a mi­gliaia di persone, ho scritto dei libri su questo argomento, ma non ho mai meditato".
Potete scrivere dei libri sulla meditazione e mai penetrare in quello spa­zio. Potete diventare molto efficienti nel verbalizzare, potete diventare molto abili nelle astrazioni, nella dialettica, e potete dimenticarvi com­pletamente che tutto il tempo che avete speso in attività intellettuali è stato un puro spreco.
Chiesi a quel vecchio: "Da quanto tempo ti interessi di meditazione?" "Da sempre," mi rispose. Aveva circa settant'anni. "Avevo vent'anni quando presi il sannyas e divenni un monaco giainista, e per i restanti cinquant'anni ho letto moltissimo e ho pensato sempre alla meditazio­ne". Cinquant'anni di pensiero, di lettura e di scritti sulla meditazione, aveva perfino guidato delle persone nella meditazione, ma lui non ne aveva mai assaporato il gusto!
Questo succede a milioni di persone. Parlano dell'amore, conoscono tutte le poesie che parlano d'amore, ma non hanno mai amato e, anche quando credevano di essere innamorati, non lo erano. Anche quella era una cosa 'mentale': non proveniva dal cuore.
La gente vive, ma si lascia sfuggire la vita. La vita richiede coraggio; il coraggio è necessario per essere realisti, ci vuole coraggio per muover­si nella vita ovunque essa porti perché i suoi percorsi non hanno trac­ciato e non esistono carte geografiche. Ci si deve muovere nell'ignoto. La vita può essere compresa solo se siete pronti a entrare nell'ignoto. Se rimanete attaccati al già conosciuto, vi aggrappate alla mente e la mente non è vita. La vita non è mentale, non è intellettuale, perché è to­tale. Dovete coinvolgere la vostra totalità e non solo pensarci. Pensare alla vita non è viverla. Fate attenzione a questo pericolo. Non continua­te a pensare a... Ci sono persone che pensano a Dio, altre che pensano alla vita, altre ancora che pensano all'amore.
Mulla Nasrudin era molto invecchiato; si recò da un medico. Aveva un aspetto molto fragile, per cui il medico gli disse: "Posso dirle solo una cosa: deve dimezzare la sua vita amorosa".
"D'accordo," rispose Mulla, "ma quale metà? Il parlare dell'amore o il pensare all'amore?"
Non diventate un professore di lingue, non diventate un pappagallo. I pappagalli sono professori di lingue: vivono di parole, di concetti, di teorie, di teologie, e la vita scorre, scivolando via dalle loro mani. Poi, un giorno, si terrorizzano all'idea della morte. Quando una persona te­me la morte, potete ben dire che quella persona si è lasciata sfuggire la vita; se non l'avesse mancata, non avrebbe paura di morire. Se un uo­mo ha vissuto la vita, è pronto anche a vivere la morte, anzi, è addirit­tura incantato dal fenomeno della morte.
Quando Socrate stava per morire, era così estatico che i suoi discepoli non riuscivano a comprendere il motivo della sua felicità.
Un discepolo, Credo, gli chiese: "Perché sei così felice, mentre noi sia­mo disperati e stiamo piangendo?" Socrate gli rispose: "Perché non do­vrei essere felice? Ho conosciuto cos'è la vita e ora desidero conosce­re cos'è la morte. Sono sulla soglia di un grande mistero e sono eccita­to! Sto per compiere un viaggio nell'ignoto. Mi sento così pieno di me­raviglia e di curiosità che sono impaziente!" E ricordate, Socrate non era un uomo religioso e neppure un credente.
Qualcuno gli chiese: "Sei sicuro che l'anima sopravvivrà alla morte?" Socrate gli rispose: "Non lo so".
Dire "non lo so" richiede un coraggio enorme. E' molto difficile per i professori di lingue affermare "non lo so"; è difficile per i pappagalli dirlo. Socrate era un uomo onesto e sincero e disse: "Non lo so".
I discepoli chiesero ancora: "Allora, perché sei così felice? Se l'anima non sopravvive...?"
Socrate rispose: "Devo vedere: se sopravvivo, non ho nulla da temere. Se non sopravvivo, come posso avere paura? Se non sopravvivo, non sopravvivo. Come posso, dunque, avere paura? Non c'è più il mio essere, quindi non esiste più neanche la paura. Se sopravvivo, sopravvi­vo, quindi non c'è motivo per avere paura. Tuttavia, non so esattamen­te cosa succederà: ecco perché sono così pieno di meraviglia e di curiosità e sono pronto a entrare in quella dimensione. Non so". Ecco come dovrebbe essere un uomo religioso, secondo me. Un uomo religioso non è né cristiano, né induista, né buddista o maomettano: que­ste sono solo vie della cultura. Un cristiano afferma "io so", ma la sua conoscenza deriva dai dogmi cristiani. L' induista afferma "anch'io so", ma la sua conoscenza proviene dai Veda e dalla Gita e dai suoi dogmi. E l'induista è nemico del cristiano perché "se io ho ragione, tu hai tor­to. Se tu hai ragione, allora io ho torto". Seguono allora discussioni, li­tigi e inutili conflitti.
Un uomo religioso, veramente tale, non i cosiddetti religiosi, è colui che afferma di non sapere. Quando si afferma di non sapere, si è aperti, pron­ti a imparare; quando si afferma di non sapere, non si hanno pregiudi­zi né in un senso né nell'altro, non si hanno dei credi, non si ha cultu­ra. C'è solo consapevolezza.
Si afferma: "Sono consapevole e osserverò ciò che accade, non mi tra­scino dietro alcun dogma dal passato".
Questo è l'atteggiamento del discepolo, di colui che vuole apprendere. Disciplina significa semplicemente 'imparare', e un discepolo è colui che è disposto a imparare.     .
Io non vi insegno alcun dogma, non vi trasmetto alcuna cultura: vi aiu­to a vedere ciò che è. Vivete la vita, qualunque sia il prezzo da pagare, siate pronti a scommettere su di lei.
Ho sentito raccontare di un uomo d'affari che, mentre si recava a piedi dall'ufficio a un ristorante per la pausa del pranzo, fu fermato da uno sconosciuto che gli disse: "Non credo che ti ricordi di me, ma circa die­ci anni fa arrivai in questa città senza un soldo. Ti chiesi un prestito e tu mi donasti venti dollari dicendo di non voler perdere l'occasione di avviare un uomo al successo".
L'uomo d'affari pensò per un momento e poi disse: "Oh, sì, ricordo, prosegui con il tuo racconto". "Beh," continuò lo sconosciuto, "vuoi un'altra occasione?". La vita vi ripete sempre la stessa domanda, più volte: "Vuoi ancora scommettere?" Non è mai una cosa certa. La vita non ha un'assicura­zione su se stessa: è un'apertura, un'apertura selvaggia e caotica . Pote­te costruire una piccola casa attorno a voi, vi darà sicurezza, ma si ri­velerà la vostra tomba. Vivete con la vita.
In molti modi noi abbiamo creato delle tombe. Il matrimonio è una crea­zione dell'uomo, mentre l'amore è parte della vita. Quando voi create il matrimonio attorno all'amore, create una sicurezza. Avete costruito qualcosa che non può essere costruito: l'amore non può essere legaliz­zato. Avete cercato di fare una cosa impossibile e, con quello sforzo, l'amore muore e non c'è da stupirsene. Voi diventate un marito e la vo­stra amata diventa una moglie: non siete più due persone vive, ma due funzionari. Il marito ha certe funzioni, la moglie ne ha altre: entrambi hanno dei doveri da svolgere e così la vita ha smesso di fluire, si è con­gelata.
Osservate un marito e una moglie. Vedrete sempre due persone conge­late, sedute una di fianco all'altra, senza sapere cosa fanno lì e perché sono lì. Forse perché non sanno dove andare.
Quando vedete amore tra due persone, qualcosa fluisce, si muove, cam­bia. Quando c'è amore tra due persone, queste vivono in un'aura, esi­ste un continuo condividere. C'è uno scambio di vibrazioni, esse si tra­smettono a vicenda il proprio essere; non c'è un muro tra loro: sono due e tuttavia non lo sono; sono anche un'unità.
II marito e la moglie sono assolutamente lontani, anche se sono seduti vicini; l'uomo non ascolta ciò che dice la donna, perché da tempo è di­ventato sordo. La donna non vede neppure ciò che accade al marito per­ché da tempo è diventata cieca. Entrambi considerano l'altro come una cosa certa, scontata; sono diventati delle cose.
Non sono più persone perché le persone sono sempre aperte, nell'insi­curezza e in continuo mutamento; ma il marito e la moglie hanno ruo­li fissi a cui sottostare. Sono morti nel giorno del loro matrimonio: da allora non hanno più vissuto.
Non dico di non sposarvi, ma ricordatevi che l'amore è un fatto reale e, se l'amore muore, il matrimonio non ha alcun valore. E questo vale per ogni cosa della vita: o la vivete, ma allora dovrete vivere nell'insicu­rezza, senza sapere cosa succederà dopo, oppure cercherete una solu­zione certa.
Ci sono persone che sono diventate così sicure su tutto che non si stupiscono di nulla. Ci sono persone che non potrete stupire mai. E io so­no qui per trasmettervi un messaggio che è molto sorprendente: non ci crederete, lo so. Non potrete crederci, lo so; sto per dirvi qualcosa che è assolutamente incredibile: voi siete degli dèi. Ma lo avete scordato.
Harvey Firestone, Thomas A. Edison, John Burroughs e Henry Ford stavano viaggiando verso la Florida, tutti insieme, nella stessa auto. Si fermarono a una stazione di servizio.
"Desideriamo delle lampadine di ricambio per le luci di posizione,"dis­se Ford," e, a proposito, quel signore seduto nell'auto è Thomas Edison e io sono Henry Ford".
Il benzinaio non si degnò di lanciare neppure un'occhiata all'interno dell'auto e sputò per terra il tabacco che stava masticando.
"Inoltre," proseguì Ford, "vorremmo acquistare un nuovo pneumatico, possibilmente un Firestone, se ne ha. Vede, quell'altro signore è Har­vey Firestone in persona".
Il benzinaio continuò a tacere e ad armeggiare intorno alla ruota, men­tre John Burroughs, con la sua lunga barba bianca, mise la testa fuori dal finestrino dell'auto e disse: "Come va?"
Finalmente il benzinaio diede segni di vita. Guardò Burroughs ed escla­mò: "Se mi dice che lei è Babbo Natale, che io sia dannato se non le rompo la testa con questo cric!"
Quel benzinaio non credeva che nella stessa auto, tutti insieme, ci fos­sero Harvey Firestone, Thomas A. Edison, John Burroughs e Henry Ford. Questi personaggi erano amici e avevano l'abitudine di viaggia­re insieme.
Quando affermo che siete degli dèi, non mi crederete perché avete di­menticato completamente chi sta viaggiando dentro di voi, chi è sedu­to dentro di voi, chi mi sta ascoltando, chi mi sta guardando. L'avete completamente dimenticato. Vi sono state applicate delle etichette e voi avete creduto a quelle etichette: il vostro nome, la vostra religione, la vostra nazione... tutte storie! Non ha alcun senso essere induista, cri­stiano o maomettano, se voi non conoscete voi stessi. Quelle etichette non hanno alcun senso, salvo che possono essere utili in qualche modo. Che importanza ha se siete indù, cristiani, maomettani, oppure indiani, o americani o cinesi? Tutto ciò è irrilevante, perché il vostro essere non è né indiano, né cinese, né americano. L'essere è semplice­mente essere.
Essere è ciò che io chiamo Dio: se comprendete la vostra divinità inte­riore, avete compreso ciò che è la vita; altrimenti non siete riusciti a de­cifrare l'esistenza. Questo è il messaggio. L'intera vita mira in conti­nuazione a una sola cosa, e cioè che voi siete degli dèi. Una volta capi­to questo, la morte non esiste più; allora avrete imparato la lezione. Al­lora, nella morte, gli dèi torneranno a casa.

ll rabbino Bunam stava morendo, sua moglie scoppiò in lacrime. "Per quale motivo piangi?" le disse. "Ho trascorso l'intera vita cercan­do di imparare a morire".
L'intera vita è semplicemente una scuola per apprendere come tornare a casa, come morire, come scomparire, perché nel momento in cui scomparite, Dio compare in voi. La vostra presenza è l'assenza di Dio, la vostra assenza è la presenza di Dio.

Un grazie di cuore alla Maestra Simona Fossa Margutti che ha voluto donarci questi passi di riflessione profonda sul senso della nostra vita.