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ALLARME RWANDA

Motivazione e richieste

La Società Civile ruandese ha poche possibilità di esprimere la sua voce. Abbiamo interpellato delle persone che sono ben informate sull'attualità della vita in questo paese. È per noi un dovere morale scrivere per solidarietà con questo popolo, ma anche perché siamo coscienti che il regime attualmente al potere in questo paese, non solo ha causato enormi sofferenze alla popolazione della RDCongo, ma anche al popolo ruandese che vive una situazione di oppressione nella quale molto pochi sono i privilegiati e molto numerosi gli emarginati.
Il terribile genocidio consumatosi nei mesi da aprile a luglio 1994 è stato utilizzato questi ultimi anni come uno strumento di potere, di acquisizione delle risorse e di copertura di altre atrocità commesse, in Rwanda e in RDCongo, da quel gruppo che non smette di dichiararsi vittima. Il problema del Ruanda non è innanzitutto etnico. Il fatto stesso che il gruppo che ha condotto l'avanzata delle sue truppe provenienti dall'Uganda dal 1990 e che ha preso il potere nel 1994 è composto solamente di circa 14 famiglie, questo vuol dire che fra gli emarginati ci sono anche dei Tutsi . L'etnia, come altrove nella Sotto-regione dei Grandi Laghi, ha servito e serve ancora come strumento di conquista e di conservazione del potere.
Non neghiamo che alcuni progressi tecnici siano stati realizzati. Non neghiamo neanche la capacità di organizzazione e di disciplina del gruppo al potere, ma, evidentemente, il prezzo di tutto questo, in questi anni, è stato troppo alto. Tutto ciò che è accaduto in questi anni di guerre in RDCongo, con la forte implicazione ruandese, resta attuale e difficile da dimenticare: i nomi dei morti restano nei nostri cuori. Non è solamente perché sia fatta giustizia per la RDCongo che parliamo, ma anche per sostenere i diritti della maggioranza della popolazione ruandese non ancora uscita dal baratro dell'angoscia. E' anche perché non ci sarà vera pace nella Sotto – Regione, se il Ruanda non si aprirà ad un vero dialogo inter-ruandese. Peraltro, non ci sarà ritorno pacifico degli Hutu ruandesi nel loro paese, se le prospettive che sono loro aperte sono solamente la prigione, la miseria e, nel peggiore dei casi, la morte. 
Sappiamo che dietro la forza aggressiva del potere ruandese si nasconde una grande paura. Questa non sarà mai guarita, ma resterà incoraggiata e motivata dalla repressione. E' arrivato il tempo, come ci diceva una mamma, di riconoscersi tutti perdenti e di camminare insieme su una strada condivisa.
Questo rapporto, che non ha la pretesa di un'inchiesta su larga scala, ha voluto dare semplicemente voce a coloro che in Ruanda, adesso, sono oppressi. Non è questione di infangare la fama di un paese, di un gruppo o di una persona, solo ci motiva la preoccupazione di giustizia e di pace, in Ruanda ed in tutta la Sotto-regione. L'abbiamo redatto perché sappiamo che la Comunità internazionale, e particolarmente certi Stati del Nord, hanno una grande parte di responsabilità nella situazione che prevale in Ruanda: l'hanno incoraggiata, l'hanno coperta, non smettono di appoggiarla. Ci sono in gioco degli interessi economici e geopolitici. Li mettiamo in guardia, perché verrà il giorno in cui, come altrove, si griderà: "Al lupo, al lupo!", ed occorrerà allora  riconoscere che una volta di più, questo "lupo" sarà stato allevato da quelli stessi che grideranno.

Chiediamo con urgenza al Presidente Paul Kagame
- di ascoltare il grido di tutto il suo popolo e di aprire un vero spazio di dialogo come unico cammino di vita e di avvenire per il suo popolo. 
 
Chiediamo con urgenza alla Comunità internazionale: agli Stati Uniti, all'Unione Europea e ai suoi Stati membri, alle Istituzioni Internazionali, ai poteri economici, ai finanziatori:
- di rinunciare ad ogni scambio tra i loro interessi e le esigenze della giustizia, dei diritti dell'uomo e dei gruppi umani; 
- di utilizzare tutti i mezzi finanziari, economici e diplomatici per fare pressione sul governo ruandese, affinché percorra la strada di un vero dialogo e cessi effettivamente ogni sua ingerenza in RDCongo; 
- di istituire immediatamente il Comitato Internazionale di seguimento per la messa in pratica dell'accordo di Roma, per offrire, agli Hutu ruandesi che rientrino nel loro paese, la garanzia della protezione internazionale. 

Ragioni per mettere in allerta… 

 
Il Ruanda vive una situazione di forte oppressione. Se fosse consultata dal Governo sul ritorno degli Hutu nel loro paese, la popolazione dell'est della RDCongo non potrebbe che augurarsi che ciò succeda il più presto possibile. Tuttavia, la Comunità internazionale deve essere cosciente che, se non si esercitano delle forti pressioni sul Governo ruandese, incoraggiare il rientro degli Hutu, significherà inevitabilmente mandarli incontro a pericoli e ingiustizie e,  in questo caso, i rischi di incendiare ancora una volta questo paese e quelli vicini, rimarrebbero intatti.  

1. La fuga degli Hutu ruandesi 

Questi ultimi mesi, da quando hanno incominciato a funzionare le giurisdizioni dei Gacaca, si assiste ad una fuga degli Hutu dal Ruanda verso i paesi vicini, l'Uganda, la Tanzania, e soprattutto il Burundi. In questo ultimo paese, il loro destino è andato cambiando lungo il corso di queste settimane perché, dopo averli accolti e avere preso in considerazione la possibilità di trasferirli all'interno del paese, lontano dalle frontiere, le autorità burundesi, cedendo alle pressioni ruandesi,  li hanno lasciati vicino alla frontiera e negano loro lo statuto di rifugiati. Verso metà maggio 2005, un gran numero di essi sono stati costretti, contro i principi del diritto internazionale, a ritornare in Ruanda, ma sono fuggiti ancora, tornando di nuovo in Burundi. Le autorità burundesi hanno richiamato all’attenzione la Croce Rossa Internazionale e l'Alto Commissariato per i Profughi (HCR) che avevano denunciato le intimidazioni di cui questi profughi erano oggetto, essendo stati obbligati al ritorno forzato verso il Ruanda.   Per il momento, in Burundi, i profughi Hutu sarebbero tra 7000 e 10.000.
Le autorità ruandesi dichiarano che si tratta di persone che vogliono scappare dal giusto giudizio dei tribunali Gacaca. La televisione burundese ha mostrato delle immagini di  povere persone: essenzialmente delle mamme e dei bambini di cui è molto difficile pensare che siano dei "genocidari". Anche quelli a cui la coscienza non rimprovera nulla, hanno paura e si nascondono o cercano di lasciare il paese. Il Gacaca è un incubo anche per quelli che devono assistervi. Anche numerosi Tutsi fuggono perché il clima sociale è sempre più insopportabile a causa dell’intossicazione. I fuggiaschi non sono solo persone passibili del giudizio dei Gacaca: un fuggitivo intervistato in Uganda ha dichiarato di fuggire gli arresti arbitrari.  

2. I Gacaca 

In passato, i meccanismi dei Gacaca riguardavano i conflitti fondiari e la proprietà delle terre e gli anziani testimoniavano a chi esse appartenessero. Oggi, con l'appoggio finanziario e morale della Comunità internazionale, il potere ruandese ha dichiarato di volerne fare uno strumento di riconciliazione dopo il genocidio del 1994, sull'esempio del Sud Africa, e il mezzo per alleggerire la popolazione carceraria, ma tutt'altra è la realtà. Il Gacaca attuale consiste in una riunione che si tiene normalmente un giorno per settimana, e in giorni diversi secondo i Comuni, in presenza delle autorità. Tutti gli abitanti del luogo sono costretti ad assistere, sotto pena di essere considerati come complici dei genocidari ". Questi Gacaca esterni, (perché ce ne sono anche nelle prigioni), giudicano dapprima le persone che sono "ancora" in libertà. Durante il Gacaca, si dà la parola ai superstiti, cioè ai Tutsi sopravvissuti al genocidio.   Uno di essi può dire: "Io ho visto un tale uccidere tale o talaltra persona". Anche dei giovani che all'epoca del genocidio avevano tra i 5 e gli 8 anni possono dichiarare: "Io ti ho visto, tal giorno, a tal ora, portavi tali abiti, e hai ucciso mio padre". Talvolta, è la gelosia verso qualcuno che è riuscito a costruirsi una casa o a iniziare un’attività commerciale che spinge a infangarlo con false accuse.   L'imputato può allora difendersi  o può essere aiutato da qualcuno. Gli si chiede se ha dei testimoni che lo possano scagionare, ma come trovarne in questo clima di paura?   Se al termine del dibattito non ci sono testimonianze contro l'imputato, questo è assolto. Se era già prigioniero, torna tuttavia in prigione dato che ci sono ancora lunghe procedure da seguire prima che sia liberato. Se è dichiarato colpevole, l'imputato è condotto in prigione ed il processo ordinario prosegue. 
I Gacaca sono un'istituzione a senso unico: giudicano solamente gli Hutu, dato che il querelante si ritrova ad essere nello stesso tempo parte interessata e giudice;   la lealtà e la sincerità sono completamente assenti e i Gacaca, invece di servire alla riconciliazione nella verità, sono diventati dei luoghi di intimidazione, di terrore e di ingiustizia.

3. I prigionieri 

Un problema cruciale, che la Comunità Internazionale ha creduto che i Gacaca avrebbero potuto risolvere, è quello del grande numero di prigionieri ammucchiati nelle prigioni ruandesi sin dai tempi del genocidio del 1994.   Al contrario, al posto di svuotarsi progressivamente, le prigioni registrano, senza interruzione, dei nuovi arrivi. In nome dell'"ideologia genocidaria", si arrestano delle persone che non hanno nemmeno visto ciò che è accaduto o che erano  addirittura all'estero. Fra essi, ci sono molti Hutu, ancora in vita e in prigione, che avevano addirittura appoggiato nel 1994 la vittoria del FPR, o che hanno esercitato tranquillamente in questi ultimi dieci anni le loro attività in Ruanda o all'estero. Le autorità stimano che il 10% della popolazione meriti di passare davanti ai Gacaca ed affermano, peraltro, che bisognerebbe mettere in prigione tra 500.000 e 700.000 altre persone.   La prigione centrale di Butare, per citare solamente questa, rinchiude 13.000 prigionieri di cui 1500 non genocidari.   Sono in maggioranza degli Hutu reclutati tra coloro che non avevano abbandonato il paese al momento della presa del potere da parte  del FPR dopo il genocidio del 1994. Altri sono stati incarcerati semplicemente nel 1996, dopo il rimpatrio degli Hutu per opera del HCR.   Tutti questi Hutu, veri o falsi genocidari, sono accusati di genocidio e hanno dunque passato più di otto o dieci anni in prigione, senza essere giudicati. Tra essi, ci sono degli intellettuali e degli analfabeti, degli uomini e delle donne, di cui la maggior parte è ancora senza dossier giudiziale e non ha nessuna speranza di comparire davanti al giudice.

4. I Gacaca in prigione 

L'utilizzazione del sistema Gacaca per gli incolpati di genocidio è cominciata nelle prigioni. Si era promesso ai prigionieri che coloro che si sarebbero accusati personalmente di genocidio e chiedessero perdono, sarebbero stati liberati. Già un gran numero di prigionieri ha fatto questa confessione; ma non sono stati liberati, anzi sono stati rinchiusi in un settore della prigione chiamato "Arusha" dove godono di condizioni migliori rispetto a quelle degli altri prigionieri. Là, vengono ancora interrogati, affinché diano tutti i dettagli degli omicidi che hanno confessato. Si è spinto addirittura i prigionieri a denunciare delle persone in libertà. Si tratta talvolta  di qualcuno che si sospettava. In questo caso, si promette ai delatori una riduzione di pena; non è tanto raro che essi denuncino, perché costretti dalla tortura. Alcuni prigionieri hanno fatto allora delle accuse, aiutati in ciò da falsi testimoni. Il fatto che gli Hutu accusino altri Hutu dà peso alle ragioni del potere: "Vedete come sono loro stessi che si accusano, dunque è vero". 
In Ruanda, non solo le prigioni devono autofinanziarsi , ma diventano anche un affare per lo stato rwandese. I direttori delle prigioni negoziano dei contratti con datori di lavoro e mandano i prigionieri a lavorare nelle costruzioni e nelle fabbriche che si trovano vicino alle prigioni, o nei campi il cui raccolto sarà venduto. Alla fine dell'anno, il direttore della prigione rimette l'80% delle entrate allo stato ed il 10% all'insieme dei prigionieri.   Se è vero che queste uscite dalle prigioni permettono ai prigionieri di respirare la dolce aria dell'esterno, non resta meno vero che i lavori ai quali sono sottomessi sono dei lavori forzati. In gennaio 2003, prima delle elezioni, il Presidente Kagame decretò la liberazione di certi prigionieri. Benché la sua famiglia politica avesse trascurato questo decreto, 20.000 detenuti erano stati liberati provvisoriamente, a condizione di passare innanzitutto due mesi in un campo di formazione chiamata "ngando". Tuttavia, la maggior parte di essi si ritrovano di nuovo in prigione per le stesse accuse, dopo che i "superstiti" del genocidio abbiano manifestato contro la loro liberazione, ma anche in seguito all'attivazione dei Gacaca.

5. La vita in prigione 

La prigione è organizzata con cura e la sorveglianza è rigorosa. La squadra di direzione (bunyobozi) ha sotto il suo controllo una squadra di sorveglianti armati per impedire che i prigionieri evadano, se no sparano su di essi.   Nella prigione, c'è anche un servizio di informazione, diretto da un uomo del FPR. Tra i servizi assicurati dal personale dello stato si trovano i servizi sociali esterni che possono, per esempio, accordare una visita straordinaria . Parallelamente alla squadra esterna, una direzione interna dei prigionieri (nyobozi) collabora strettamente col bunyobozi. I prigionieri sono ospitati in scompartimenti tipo colombaia, sovrapposti e giustapposti, per un spazio di 200cmx40cmx50cm ciascuno e per individuo.   I servizi igienici non sono coperti, non hanno porte e i prigionieri fanno la fila per avervi accesso. Il cibo è fornito soprattutto dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) a ragione di un barattolo di 300 g per giorno e per prigioniero: mescolanza di semi di mais e di piselli secchi, conditi con un po' di olio e di sale. Alcune volte, si aggiunge alla razione un barattolo di farina di sorgo bollita e senza zucchero.   
I servizi religiosi di tutte le confessioni sono assicurati. Per i Cattolici, c'è anche la preparazione ai sacramenti. Da quando il CICR fa il censimento dei prigionieri, non ci sono più stati degli scomparsi, mentre prima, se ne conducevano, di nascosto, delle decine alla morte.  Lo stato d'animo dei prigionieri è diviso: talvolta i più istruiti e altri prigionieri onesti riconoscono i loro errori personali o di gruppo ed affermano: "Ciò che abbiamo fatto non è buono, ma il nostro imprigionamento è durato già molto tempo; vorremmo uscire e potere partecipare alla ricostruzione del paese". Altri coltivano invece il desiderio di vendetta. Altri, più pessimisti o disfattisti, aspettano solamente la morte. Altri infine, per sopravvivere, si consolano affermando di aver dimenticato la vita dell'esterno: "Consideriamo la prigione come l'unica nostra casa". 
Nella città di Butare, apparentemente tutto va bene, ma guardando più da vicino, ci si accorge che ci sono soprattutto delle donne e dei bambini e i mariti sono in prigione. Molti bambini nascono allora fuori dal matrimonio, mentre i prigionieri soffrono per l'abbandono e l'assenza delle loro spose. 

6. Nessuna etnia in Ruanda 

Si dichiara ufficialmente che non ci sono etnie in Ruanda, ma le testimonianze riportano piuttosto il contrario. Sotto l'attuale regime, la questione etnica è machiavellicamente rinforzata  in favore della minoranza tutsi e a scapito della maggioranza hutu e i segni per dimostrarlo sono molteplici: le infrazioni, o atti supposti tali, commesse dagli Hutu sono punibili, mentre, con qualche eccezione, non lo sono quelle commesse dai Tutsi.   Immediatamente dopo il genocidio del 1994, si piangeva il massacro degli "Hutu moderati e dei Tutsi". Oggi invece si fa valere, in ogni circostanza di luogo e di tempo, il solo genocidio dei Tutsi. È ciò che fa dire a un rappresentante della Società civile ruandese: "La riconciliazione è solamente un discorso per lo straniero".  L'opinione dominante è che ogni Hutu è Interahamwe, o ancor peggio, un "Igiterahamwe",  cioè della sporcizia. Lo schema Tutsi-vittime, Hutu-genocidari, dirige la vita pubblica: si commemorano le vittime tutsi, i monumenti ricordano solamente il loro massacro. Il risarcimento delle vittime del genocidio prevede solamente un elenco di Tutsi.   Nessuno può contestare questo dogma, senza essere accusato di complicità coi genocidari. Il diritto alla memoria non è riconosciuto agli Hutu, anche se nelle famiglie hutu, ci sono stati numerosi uccisi. Se lo si dichiara, si diventa "negazionisti". La mancanza di lutto pubblico per gli Hutu massacrati in Ruanda, prima e durante il genocidio e dopo la presa del potere da parte del FPR, ha causato delle enormi sofferenze a questo gruppo. Peraltro, gli omicidi, massacri e diverse violazioni commesse dai Tutsi in Ruanda ed in RDCongo sono da essi considerati come atti di "legittima difesa". 
In giugno e nell'ottobre 2004, l'associazione dei Batwa, chiamata Carwa (Comunità degli Autoctoni ruandesi), avendo la sua sede in un quartiere povero di Kigali, è stata obbligata dal Ministero della giustizia e dall'amministrazione locale a sospendere, senza nessuna forma di processo, a porre termine alle sue attività. Secondo le autorità, la sua denominazione ed il suo statuto conterrebbero delle parole a connotazione divisionista che sarebbero  contrarie ai principi della Costituzione ruandese!  

7. Elezioni e partiti politici 

Il 25 agosto 2003, dopo circa dieci anni di "Transizione", hanno avuto luogo le elezioni presidenziali. Paul Kagame, che dal 1990, alla testa dell'esercito Patriottico ruandese, aveva guidato, dopo l'uccisione di Fred Rwigema, l'avanzata dei profughi tutsi dall'Uganda verso la presa del potere a Kigali, e che, effettivamente, l'aveva conquistato  alla fine del genocidio del 1994, è stato confermato Presidente della Repubblica con un punteggio troppo lusinghiero del 95,05% dei suffragi, contro un totale del 4,95% dei voti ottenuto dai suoi due avversari riuniti. Malgrado le molteplici testimonianze a proposito delle costrizioni subite dagli elettori e le denunce di altre irregolarità, la Comunità internazionale giudicò accettabili le elezioni e si congratulò con Paul Kagame.  
Parimenti, alla fine di settembre 2003, i ruandesi hanno votato per le legislative, "eleggendo" i loro deputati al suffragio universale. Il Fronte Patriottico Ruandese, il partito-esercito del Presidente, ha vinto col 73% dei voti. Il Parlamento sorto da dette elezioni fu elogiato come un modello molto avanzato di democrazia e di integrazione delle donne nella gestione della cosa pubblica: 24 deputati sono donne… Il Presidente Kagame ha, tra altre ragioni, ricevuto per ciò il premio di buon governo, offerto ai Presidenti di meno di cinquant' anni. Questa riconoscenza non sarebbe stata possibile senza il sostegno diplomatico offerto al Presidente dagli USA, precisamente nel momento in cui ne aveva bisogno, tanto per la sua gestione del dossier congolese che per aiutare l'evoluzione della riconciliazione in Ruanda…
Alcune testimonianze affermano che nessun partito politico può installarsi all'infuori di Kigali, salvo il FPR, e che a Kigali, i partiti devono fare imperativamente parte di un foro dei partiti politici presieduto dal FPR. I responsabili dei sette partiti politici, oltre al FPR, debitamente autorizzati dalla legge sui partiti, si sono allineati dietro Paul Kagame e il FPR. Infine, l'esercito ruandese attuale comprende il 75% di Hutu ed il 25% di Tutsi, ma il comando appartiene a questi ultimi.

8. Un paese lanciato… 

In Ruanda, certe cose funzionano. A titolo di illustrazione, gli stipendi sono pagati e non sono anormalmente miserabili come in certi Stati vicini. La sicurezza dei beni e delle persone è garantita formalmente a ciascuno, finché non si è ancora arrestati. I militari e la polizia sono disciplinati, sottomessi ai capi, e non molestano la popolazione. Esistono un certo diritto e una buona organizzazione.
Un progetto chiamato Visione del Ruanda 2020 prevede dei grandi progetti per dare più spazio alla tecnologia e ridurre la povertà nel paese. Da quando il FPR ha preso il potere, è più che manifesta una grande infatuazione per abbellire la capitale: un po' dovunque, si costruiscono delle belle case, degli edifici a più piani, degli hotel di lusso. Si è diminuito il numero dei funzionari, dando la caccia agli effettivi fittizi, ma anche pulendo la funzione pubblica da elementi indesiderabili. La privatizzazione riguarda tutti i settori: notevoli investimenti sono stati realizzati nel campo della comunicazione, a cui si dedica una parte importante degli aiuti che vengono dall'esterno.
Il punto negativo più importante della vita in Ruanda riguarda l'ingiustizia verso gli Hutu e i Batwa, ciò che va di pari in passo normalmente con la logica universale dell'emarginazione dei poveri.
Circa 900.000 persone che abitano a Kigali stanno essendo cacciati, in un modo o nell'altro, dalla città; sono i poveri, i piccoli. I tentacoli del grande mercato della città sono stati soppressi e i venditori sono rinviati nei mercati di periferia. Nessuno può vendere sulla strada il suo cesto di fagioli, di patate o di riso. Ogni banco deve essere registrato e pagare delle elevate tasse al Ministero del commercio.
Kigali e le altre città attirano molti giovani alla ricerca di un poco di denaro, anche se il numero dei disoccupati cresce febbrilmente. Il Governo prova a frenare questo fenomeno, rinviando le persone senza i documenti in regola, sulle colline ed arrestando i bambini della strada. Altri cittadini sono pregati di lasciare i loro luoghi di abitazione, ricevendo in cambio una piccola somma, con cui possono appena acquistare un campo per costruire la loro abitazione.   Il fossato tra i ricchi ed i poveri si ingrandisce sempre più, e pericolosamente!
Quando si passa sulle grandi strade del paese o nella capitale, si vede che le persone stanno costruendo e ciò dà l'impressione di un livello di vita che cresce, mentre la realtà è molto differente per la maggioranza della popolazione. Il Ruanda ha una popolazione essenzialmente agricola. Nel passato, organizzate in cooperative, le persone coltivavano delle paludi . Ora, questi spazi sono stati concessi a ricchi proprietari che li sfruttano in modo moderno. Gli stipendi che pagano agli operai non sono sufficienti. "Il suolo appartiene allo stato", si dichiara, così si sono costruiti dei villaggi per gli sfollati tutsi su dei campi che appartengono a dei privati.
La legge fondiaria ruandese ha obbligato ogni contadino possessore di un pezzo di terreno a darlo al Governo. I politici ne approfittano. Si costruiscono delle fattorie moderne dove le mucche producono fino a 40 litri di latte per giorno. Di fronte alla qualità ed al prezzo del latte di queste fattorie, i poveri, in particolare gli Hutu riuniti nei loro villaggi e spossessati, non possono fare fronte alla concorrenza, né vendere il poco latte delle loro povere mucche. Tuttavia, i Tutsi non avevano mai avuto campi. La Comunità internazionale si è rallegrata dell'esistenza di queste fattorie, apprezzate come segni di sviluppo.

9. La libertà di espressione 

In una lettera del 31 marzo 2005, proveniente dall'interno del paese, si poteva leggere: "… Pregate molto per i ruandesi, soprattutto per le semplici persone che hanno talmente paura a causa di ciò che accade adesso nel paese". Il clima che regna è quello del timore, della diffidenza reciproca, anche tra le persone di una stessa etnia.   Quando le persone si radunano per un lutto o per una festa, non si sentono più a loro agio per parlare. Basta poco per essere accusati di "divisionismo", di "ideologia genocidaria". In questo caso, ogni mezzo di difesa diventa impossibile, perché l'accusa è astratta e non si saprebbe su che cosa consolidare la propria difesa. Il risultato è facilmente la prigione.   
Questa diffidenza la si vive anche nelle scuole. Talvolta si giudica un alunno hutu perché lo si è scoperto con una lametta da barba o un coltello da tavolo, cosa questa di più normale in un internato. Molto spesso, l'alunno è cacciato dalla scuola. Paradossalmente, una simile accusa non può essere portata contro un bambino tutsi. Questo non può stupire chiunque si ricordi di questa dichiarazione del Presidente ruandese due mesi fa, ripresa dalle grandi catene di informazione, "Come i loro genitori, i figli dei genocidari sono potenzialmente pericolosi per l'avvenire della nazione ruandese ". I bambini degli altri!
La stampa è interamente sotto controllo governativo. Nel maggio 2005 ha avuto luogo, a Nairobi, un importante congresso internazionale della stampa. Il fatto che il Presidente Kagame sia stato invitato a rivolgere la parola ai giornalisti presenti aveva suscitato una viva reazione nei mezzi di comunicazione. I giornalisti che hanno osato screditare le sue pratiche inaccettabili erano stati minacciati o incarcerati. Basta un nulla per essere accusati di diffamazione e di divisionismo. Certi giornalisti sono stati uccisi, come Apollos Hakizimana, che aveva osato denunciare le estorsioni dell'esercito.

10. Sulla scena internazionale 

Nell'agosto 2003, il Ruanda è stato eletto alla vicepresidenza della Conferenza dei Capi di Stato e poi a quella della Commissione permanente dell'Unione Africana. Dall'inizio del 2004, il Ruanda fa pienamente parte della COMESA, il Mercato Comune degli Stati di Africa Orientale ed Australe. Tutte le tasse sulle merci importate e prodotte nei paesi membri sono state soppresse. Oggi, un ruandese è in corsa per la presidenza della Banca Africana dello Sviluppo.   Il Club di Parigi ha appena decretato in favore del Ruanda la cancellazione totale del suo debito, dato che da buon alunno, il paese ha riempito le condizioni previste. Una decisione analoga era già stata presa prima dal FMI e dalla Banca Mondiale.

11. I Paesi del Nord 

Gli Stati Uniti hanno recentemente consegnato al Governo ruandese   un presunto responsabile di genocidio, pur sapendo che c'è un Tribunale Penale per il Ruanda che giudica questo crimine e che, in Ruanda, quest'uomo rischia la pena di morte. Da parte sua, il Governo ruandese ha dato recentemente uno spazio nel territorio di Bugesera al Governo degli Stati Uniti, per la costruzione di un aeroporto internazionale. I lavori avrebbero dovuto cominciare in febbraio. Lo scopo è di permettere agli USA di avere una base per la sorveglianza militare dell'Africa centrale. Questo aeroporto sarà destinato ai passeggeri, mentre l'attuale di Kanombe servirà come base militare.
In ciò che concerne il ritorno degli Hutu ruandesi, sembra che gli USA siano questa volta decisi di chiedere a Kagame di accettarlo. Dei responsabili belgi, venuti in aprile in Ruanda per cercare dei testimoni per un processo di genocidio in corso e circa il massacro dei belgi, hanno trovato da 80 a 100 scampati al genocidio che potranno testimoniare in video-conferenza. Louis Michel, Responsabile UE della cooperazione, aveva ricevuto a Kigali dal Presidente Kagame, la garanzia che gli Hutu innocenti avrebbero potuto ritornare al paese e che sarebbero stati ben accolti, mentre i genocidari sarebbero stati sottomessi a processo. Era ritornato in Belgio tutto contento, pensando che una divisione del potere non era poi più impossibile, dal momento in cui le FDLR (Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda), firmatarie dell'accordo di Roma, gli avevano fatto sapere la loro determinazione di partecipare allo spazio politico della loro madrepatria.   Illusione o realtà, l'avvenire ce lo dirà! 

12. Il ritorno degli Hutu in Ruanda 

Dal 1994, centinaia di migliaia di Hutu ruandesi si sono rifugiati e installati in RDCongo. Molti sono stati uccisi dall'esercito ruandese che avanzava con l'AFDL di Laurent Désiré Kabila, nei campi di rifugiati (Kashusha, Kibumba, Mugunga….) e sulla strada (Tingitingi…) mentre fuggivano. Certi superstiti si erano installati in mezzo alla popolazione congolese. Nel 1998, quando l'APR cominciò la seconda guerra in RDCongo a lato delle truppe del Rcd, gli Hutu hanno sofferto ancora molto. Si chiedeva ai cittadini congolesi di denunciare la presenza degli Hutu e li si ricompensava con denaro. Così dei ragazzi e degli uomini Hutu sono stati uccisi. La Comunità internazionale è restata indifferente alla sorte degli Hutu. Certuni hanno raggiunto altri paesi, altri si sono rifugiati nelle foreste dell'est della RDCongo. 
Secondo la Monuc, gli Hutu ruandesi in questa regione sarebbero circa 45.000, di cui 30.000 nel Nord-Kivu e 15.000 nel Sud-Kivu. Secondo RFI del 30.04.05, dal mese di novembre 2004, circa 900 Hutu sono ritornati dalla RDCongo verso il Ruanda, di cui 149 in questi ultimi giorni; altri verrebbero dal Burundi. Il HCR starebbe preparando dei campi per accogliere quelli che arriveranno in Ruanda. Esiste anche la difficoltà degli Hutu sposati con donne congolesi.  
Quelli che seminano il terrore nel Sud-Kivu, sono degli uomini di Paul Kagame, inviati in RDCongo e aiutati da banditi congolesi, per servire come motivo per l'insicurezza del Ruanda e per screditare le FDLR.
Con gli Accordi di Roma del 31 marzo 2005, firmati col Governo congolese, gli Hutu delle FDLR hanno deciso di abbandonare la lotta armata, di ritornare in Ruanda e di diventare un partito politico. Ma molti di essi hanno paura di ritornare. Del resto, nelle condizioni attuali dei partiti politici, quale spazio potrebbero trovare le FDLR? Ciò che aspetta questi Hutu, che siano colpevoli o no, sono probabilmente i Gacaca e certamente per la maggior parte di loro, la miseria.   L'istituto di ricerca Internazionale Crisis Group ha invitato il Ruanda a negoziare con le FDLR, ma il Governo ruandese ha dichiarato che non negozierà mai con essi e che, al contrario, al loro ritorno, essi dovranno rispondere dei loro atti.  

13. La chiave del cambiamento 

Non è lontano il giorno in cui lo si riconoscerà: il regime di Paul Kagame ha fatto tanto male al suo paese, ai suoi concittadini e alla popolazione congolese, ma questo regime non sarà il solo a portarne la responsabilità. Un giorno, anche se in ritardo, si riconoscerà che anche la Comunità internazionale ha commesso un grande errore, chiudendo gli occhi sui misfatti di questo regime, ma ancor più, fabbricando ed incoraggiando questo "uomo forte". Lo si è considerato come stabilizzatore della Regione, chiudendo gli occhi su una realtà completamente opposta a questa pretesa stabilità.
In questi anni di uccisioni reciproche, "tutti hanno perso e è solamente riconoscendolo che potremo ricostruire il nostro paese", ha detto una mamma ruandese. Per la pace in RDCongo e affinché il rientro in Ruanda degli Hutu ruandesi non diventi una nuova tragedia per la popolazione congolese e per loro stessi, è necessario che, in Ruanda, si apra uno spazio di libertà e di vero dialogo.
Per ottenerlo, non è necessario che la Comunità internazionale mandi degli eserciti. Basterebbe che essa rinunciasse una buona volta ai suoi propri interessi e che esercitasse su questo regime una pressione diplomatica ed economica, attraverso, per esempio, la sospensione dell'aiuto al bilancio statale. I satelliti, i diplomatici, i viaggi di ministri, i rapporti dell'ONU, i documenti della Società civile congolese e quelli della Società civile ruandese non sembrano, finora, aver servito molto: difatti, la Comunità Internazionale si è appena congratulata con la prestazione del Ruanda, cancellando totalmente il suo debito estero.
Durante questo tempo, nell’indifferenza totale, dei Rwandesi massacrano selvaggiamente delle popolazioni congolesi a Walungu, Kanyola, Nindja e altri innumerevoli congolesi continuano a morire nell’Ituri e altrove in Rdcongo.
Durante questo tempo, vengono ignorati i circa 4.000.000 di morti in RDC, per colpa dell'errore di un uomo e di un potere assassino . 
Durante questo tempo, non c’è nessuna compassione per il povero popolo congolese il cui debito estero non cessa di appesantirsi… 
Che nella Sua misericordia infinita, Dio si degni di salvare il Ruanda, il Burundi, l'Uganda e la RDCongo, per un avvenire radioso tra i nostri popoli.

Bukavu, 8 giugno 2005

Idesbald BYABUZE Katabaruka,  Vicky CIHARHULA,  Teresina CAFFI


Questo statuto esige che i rifugiati siano allontanati di almeno 150 km dalla frontiera.

Cf. RFI 24.05.05: il Governo burundese dichiara di non volere situazioni che possano turbare il clima, nel momento in cui il paese si prepara per le elezioni previste per il mese di agosto 2005. Secondo RFI del 29.05.05, i ruandesi che sono fuggiti in Burundi sono stati raggruppati con la forza nell'unico campo di Songore, a 20 km dalla frontiera ruandese. Human Rights Watch afferma che non devono essere costretti a ritornare e che le autorità burundesi devono tener in conto la paura di queste persone e devono analizzarne le cause. Da parte sua, la Tanzania li ha rinviati tutti in Ruanda (RFI 31.05.05).

Cf. RFI 24.05.05: Già il 26.04.05, 5000 Hutu ruandesi erano fuggiti in Burundi e 1118 in Uganda. Una testimonianza raccolta il 28.4.05 afferma che se quelli che fuggono sono ricuperati dalla Sicurezza ruandese, sono uccisi sul posto; per questo partono a mani vuote abbandonando tutto, salvo un poco di denaro.

Ci è stato riferito che si voleva costringere una mamma tutsi, di cui un figlio ed altri membri della famiglia erano stati uccisi all'epoca degli avvenimenti del 1994, ad accusare l'assassino. Ella non ha voluto: "Io, ho dato il mio perdono". E' perché ti è stato dato del denaro che non vuoi accusarlo, le si è detto. "Come potrei vendere il mio perdono?", ha replicato la donna.

Cf RFI 27.4.04.

Di cui l'Unione Europea, cf. RFI 26.04.05.

Nessun Hutu può essere considerato come un "superstite".

Degli Hutu si chiedono se i loro bambini sono allora degli idioti: "Mia figlia aveva 8 anni quando abbiamo lasciato il Ruanda, dice una mamma. Al nostro ritorno in Rwanda, dopo 6 anni, la bambina non ha saputo riconoscere i membri della famiglia, né i vicini di casa. Come è possibile allora che la testimonianza di un giovane tutsi, che all'epoca del genocidio era ancora bambino, sia considerata come autentica? E perché allora i giovani hutu, che in quell'epoca avevano tra i 9 e i 10 anni, sono accusati di avere fatto parte degli Interahamwe in quegli anni ? Ed anche se un bambino di 10 anni avesse commesso delle malefatte, era responsabile al punto di essere giudicato dieci anni dopo? ".

Dopo avere vissuto una tale esperienza, un giovane tutsi burundese dichiara:  "adesso comprendo che molti Hutu che sono in prigione sono innocenti".

Delle mamme Hutu hanno fatto questa riflessione: "Vediamo che fino a quando tutti gli uomini attivi non saranno in prigione o morti, Kagame non sarà mai contento ".

Cf RFI 26.4.05: Una parola utilizzata è "ruharwa"che significa: merita la morte. Anche all'Hutu che non ha ucciso né collaborato, gli si chiede: "Occorre che ci diciate ciò che avete visto".

Contraddittoria sembra essere la posizione della LDGL (Lega dei diritti della persona nei Grandi Laghi) che, pur sostenendo il diritto allo statuto di profughi degli Hutu partiti verso il Burundi, difende tuttavia il sistema dei Gacaca (Doc ". Esposto sul panico e l'esilio di certi ruandesi… ", fine aprile 2005).

La cifra di 130.000 di cui si parlava dopo il genocidio non è probabilmente  diminuita. Solo nella provincia di Butare, oltre alla prigione centrale di cui parleremo dopo, c'è un'altra grande prigione a Nyanza ed altre meno grandi. Si possono moltiplicare per la decina di province del Ruanda.

Cf RFI 26.4.05 e parecchi testimonianze degne di fiducia, fra cui quella di un politico. Amnesty International ha denunciato il fatto che tutti gli Hutu ben collocati sono ora sospettati  o accusati. Il diritto alla difesa non è rispettato, come non lo è il principio universalmente ammesso della presunzione di innocenza, cf. RFI 31.05.05.

Questi hanno più possibilità di essere liberati perché i loro errori sono considerati meno gravi rispetto al genocidio (testimonianza di aprile 2005).

Nella prigione centrale di Butare, si è notato meno di una decina di Tutsi, essenzialmente dei giovani incarcerati, perché fumatori di canapa o perché imputati di stupro a danno di  persone minorenni. I prigionieri tutsi sono rilasciati spesso senza giudizio, mentre gli hutu restano molto tempo in prigione prima di essere giudicati.

Si prometteva loro il reinserimento affinché lasciassero la RDCongo e tornassero in Ruanda. Arrivati all'aeroporto di Kanombe (Kigali), furono imbarcati direttamente nei veicoli e condotti in prigione.

Dal nome della città della Tanzania dove risiede il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda.

Per es. a Butare: alla fine dell'anno passato, si sono acquistati tre televisori per i tre settori della prigione.

Secondo un testimone diretto: se un prigioniero evade, il custode che spara su di lui ha diritto a un premio e a due giorni di ferie, mentre, come punizione collettiva, tutti i prigionieri saranno privati di ogni cibo durante una giornata. Ecco un caso particolare alla prigione centrale di una città del paese: i visitatori incontrano i prigionieri all'aperto, all'esterno della prigione, in un spazio racchiuso, da una parte, dal muro della prigione e, dall'altra, dalle guardie, alcune delle quali hanno il fucile puntato sul detenuto mentre parla col suo visitatore. Ora, un sabato, nel momento della visita di sua moglie, un prigioniero le ha consegnato una lettera coi suoi ultimi pensieri e volontà, poi si è messo a correre. Il terzo colpo tirato da un custode l'ha raggiunto ed è morto con una pallottola nella testa, fuggendo verso la libertà!

I prigionieri hanno l'incarico della cucina e della manutenzione. I servizi sociali interni danno dei consigli ai prigionieri, affinché si adattino alla vita in prigione. Altri prigionieri sono incaricati delle cure in collaborazione con la Croce Rossa; se un prigioniero è ricoverato, l'assistono e se muore, provvedono al suo funerale. I prigionieri sono divisi in blocchi, diretti ciascuno da un kapita (caposquadra).

Sempre secondo un testimone diretto che aggiunge: "Delle tavole di legno sono sistemate per terra come pavimentazione per i materassi individuali, fatti di sacchi cuciti dai prigionieri stessi e riempiti di foglie secche di banani.  Questi alloggi non sono sufficienti, così che certi prigionieri dormono nei corridoi sotto le stelle o nelle docce".

"Come questo cibo non basta, quelli che hanno un poco di denaro, dalla famiglia o da alcuni amici vicini, possono procurarsi del cibo che viene dall'esterno. L'insufficienza alimentare ha spinto dei giovani prigionieri senza risorse a mettersi al servizio, all'occorrenza sessuale, dei prigionieri più vecchi che disponevano di qualcosa. Ciò non sembra inquietare il Governo che, secondo una voce della Società civile, sarebbe più interessato che queste persone muoiano in prigione. Se sono liberati, è a causa della pressione internazionale".

Per es, si sono visti in prigione molti Hutu arrestati per avere detto o per essere stato calunniati di aver detto: Ah, voi, siete Tutsi! ". Sono stati puniti direttamente. Ora, se dei Tutsi disprezzano ed insultano degli Hutu, non vengono puniti perché ciò non è più un'ingiuria, ma un semplice scherzo. Il 7 aprile 2005, all'epoca della commemorazione annuale del genocidio, il Presidente ruandese ha detto che non bisogna dimenticare ciò che è accaduto in Ruanda col genocidio: "Dimenticare è un peccato, si può forse perdonare".

La commemorazione del 10° anniversario del genocidio ha dimostrato ciò col massimo dell'evidenza: le nostre fonti degne di fede ci hanno segnalato dal Ruanda che in quell'occasione, un po' dovunque nel paese, delle persone venute dall'estero hanno realizzato dei film ricostituendo, a grandezza naturale, delle scene del genocidio, coi ruandesi reclutati qui e là attraverso il paese. Si è creato un dramma giocato da ruandesi e diretto da tedeschi. Ci sono state delle cerimonie di disseppellimento e di nuovi funerali di cadaveri  e non si trattava, al dire delle autorità, che di soli Tutsi, mentre i massacri di decine di migliaia di Hutu uccisi dal FPR in Ruanda e nell'ex-Zaire, nei campi dei profughi e nelle foreste, non sono stati mai menzionati. Secondo una testimonianza del 04.04.05, finora, solo degli orfani e delle vedove tutsi del genocidio sono sostenuti economicamente, grazie agli aiuti dell'Unione Europea.

La terza etnia del paese, fortemente minoritaria ed emarginata: 30.000 persone su 8 milioni di ruandesi.

Il 08.11.04, il Mediatore ruandese che interviene nei casi di conflitto con lo stato ha dato ragione al Ministero. Grazie all'aiuto internazionale, l'associazione Carwa promuove e sostiene finanziariamente l'inserzione scolastica dei Batwa, ancora deboli, così come differenti progetti di sviluppo. Nell'aprile 2005, l'assemblea di Carwa doveva riunirsi per considerare la nuova difficoltà. Questa presa di posizione del Governo ha prodotto un congelamento dell'aiuto internazionale, perché, dice un responsabile di una ong irlandese che sosteneva i Batwa, "seguiamo le istruzioni del Governo che ci chiede di appoggiare delle associazioni che sono legali ". L'osservatorio internazionale per la protezione dei difensori dei diritti dell'uomo, non vedendo in Carwa nessuna minaccia per la società ruandese, ha chiesto al Governo ruandese di non fermare le attività dell'associazione. Cf. Syfia/Grands Laghi", Ruanda,: i Batwa rivendicano la loro identità per uscire ", aprile 2005.

Il 12 settembre 2003 ebbe luogo la sua prestazione di giuramento: fasti di un potere assoluto! Vi hanno assistito nove capi di stato e numerosi dignitari venuti da ovunque nel mondo . Di fonte all'incredibile percentuale dei voti in favore di Paul Kagame, un alto rappresentante della politica francese aveva commentato: "Ha però, esagerato un po'! ". Tuttavia, in seguito allo scioglimento forzato del partito del Movimento Democratico ruandese (MDR), l'Unione Europea aveva rifiutato il suo sostegno finanziario alla Commissione elettorale ruandese. Un alto rappresentante di un partito ruandese ha dichiarato: "In questo paese, non si dice più niente, non si può criticare il FPR, né Kagame senza essere accusati di divisionismo".

Adesso che è difficile sfruttare le ricchezze della RDCongo come nel bel tempo delle ribellioni pensate e mantenute dal potere ruandese, evidentemente appaiono dei segni di difficoltà: così delle belle case rimangono incompiute, gli stipendi sono pagati sempre più difficilmente, dei veicoli di lusso dello stato vengono venduti …

Anche per costruire una casetta in campagna, occorre un'autorizzazione e pagare una tassa. Anche per tagliare un albero nella propria parcella, bisogna chiederne l'autorizzazione.

Informazione proveniente dalla Società civile e da un'autorità politica della Regione.

Sin dai tempi del vecchio regime, la società ruandese è molto organizzata  e controllata: il Comune si divide in settori e questi ultimi in cellule che comprendono delle zone di dieci famiglie sorvegliate dal "Nyumbakumi" (= dieci famiglie). Prima dell'elezione del Presidente della Repubblica, si sono eletti i capi di queste strutture di base, salvo i Nyumbakumi che, secondo le nostre informazioni, sono stati nominati. "Attraverso queste elezioni, si è fatto in modo che la maggior parte di questi responsabili siano dei Tutsi" (una testimonianza).

Questa accusa è anche un'arma di vendetta: se una persona ha qualcosa contro un'altro, gli basta accusarlo di essere "in connivenza". Ecco un esempio di accusa: "Essendo nella città di…, in momenti diversi dell'anno 2004,…ha pubblicamente manifestato nelle sue parole che in Ruanda c'è stato un doppio genocidio, minimizzando grossolanamente il genocidio, fatti, questi, previsti e repressi dall'art. 4 della Legge n° 33 bis/2003 del 06/09/2003 che reprime il crimine di genocidio, i crimini contro l'umanità ed i crimini di guerra". L'accusato di questa colpa e di altre simili, non è stato dichiarato non colpevole che dopo sette mesi di prigione, e durante questo tempo, aveva perso il suo posto di lavoro.

Testimonianza del 25.05.05 a RFI di Ismael Mbonigaba, ex direttore del giornale ruandese Umuseso, attualmente in esilio.

Cf. RFI 23.05.05. Anche per ciò che riguarda lo sport, si è appena tenuta nella capitale ruandese una maratona internazionale.

RFI 27.4.05.

In sostituzione della base di Kamina in RDCongo (Testimonianza raccolta il 24.4.05). Sembra che gli USA non sostengano  più ad oltranza la guerra di Paul Kagame in RDCongo, in seguito alla loro amara esperienza in Iraq.

Cf. Radio Okapi 1.5.05.2005

Le forze dell’Onu in Rdcongo.

Secondo RFI, gli Hutu ruandesi nell'est della RDCongo sarebbero tra gli 8.000 e i 15.000.

Il Presidente Paul Kagame ha dichiarato a RFI, il 28.05.05, che il discorso delle FDLR di depositare le armi e di trasformarsi in partito politico è solamente un gioco e che in realtà, essi hanno capito che devono ritornare. Apprezziamo la loro decisione. Siamo pronti ad accoglierli. Tutto ciò che possiamo fare è di aprir loro la porta, ha aggiunto. Considerando la situazione del paese, c'è motivo di chiedersi: quale porta? Secondo certi osservatori, il Presidente si sente nell'insicurezza da parte dei ruandesi che sono all'estero, ma una volta che sono all'interno, può controllarli. Altri vedono nell'indurimento del Governo ruandese verso gli Hutu dell'interno in queste ultime settimane, una strategia per scoraggiare gli Hutu ruandesi presenti in RDCongo, affinché non tornino in Ruanda.

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